#1/2016 – ARNALDO BAGNASCO con Francesco Ramella & Rocco Sciarrone

Quali reputi le tue esperienze internazionali di ricerca più significative?

Rispetto a molti colleghi le mie frequentazioni fuori d’Italia sono piuttosto inconsuete. Non sono andato all’estero nel periodo della formazione, bensì a partire dagli anni Ottanta, quando mi sono trovato con qualcosa da offrire, o forse con qualcosa di richiesto. Il caso dell’Italia interessava infatti molti, per quelle che apparivano come anomalie rispetto ad altri paesi: se in anni precedenti era stata sotto osservazione di scienziati sociali provenienti da fuori come il paese con la più grande e omogenea area di sottosviluppo, o per la presenza del più grande partito comunista dell’Occidente sviluppato, ora una novità era rappresentata dagli inediti adattamenti post-fordisti. Il ritorno della piccola impresa e i vari modi dell’economia informale si annunciavano peraltro anche in altri paesi, in forme e dosi diverse.

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Soggiorni e trasferte furono soprattutto in Francia, come professore invitato all’ Ecole des hautes études (su invito di Ignacy Sachs), alla Maison des sciences de l’homme (dovefoto 14 a un certo punto Maurice Aymard mi chiese anche di far parte del comitato internazionale di controllo), soprattutto in occasioni continuative all’Institut d’études politiques.RECHERCHE Qui ci fu per anni un’intensa collaborazione con Henri Mendras, e con i colleghi e gli apprendisti del suo laboratorio sul cambiamento sociale, fra i quali Marco Oberti (fui correlatore della sua tesi sulla sociologia italiana sostenuta a Nanterre) e Patrick Le Galès. Patrick fu arruolato nella squadra quando con Mendras e Vincent Wright sviluppammo per diversi anni l’Osservatorio del cambiamento in Europa Occidentale, attrezzato a Poitiers nel 1990; che prevedeva un paio di incontri annuali di alcuni giorni, su differenti temi in ottica comparata, al quale era invitato un gruppo di sociologi di diversi paesi, i quali si impegnavano poi a preparare un libro. La collezione, pubblicata in Inghilterra e Francia (in piccola parte anche in Italia, da Liguori), raggiunse una quindicina di volumi[14].

Fra le diverse esperienze di allora, in qualche modo collegate, ricordo un convegno a Parigi su Convergenze e divergenze in Europa, che dette luogo alla pubblicazione di un libro uscito da Gallimard col bel titolo Six manières d’être européens (con scritti, tra gli altri, di Mendras, Dominique Schnapper, Alain Touraine, Victor Perez-Diaz, Sergio Romano, Wolfang Zapf). Io naturalmente avevo parlato di Tre Italie…  Nella prima metà degli anni Ottanta ho fatto parte del Joint Commettee on Western Europe del Social Science Research Council di New York, di cui era responsabile Philippe Schmitter, che lavorò sul tema Experimenting with Scale.

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Più tardi, a fine secolo, un’altra per me significativa occasione fu una ricerca gestita da Olivier Zunz, sostenuta dalla Russel Sage Foundation e da altre istituzioni (i risultati furono pubblicati nel 2002 con il titolo Social Contracts under Stress: the Middle Classes of America, Europe, and Japan at the Turn of foto 17Century). Si stavano definendo allora mie nuove direzioni di ricerca, ma su altre interessanti occasioni precedenti all’estero, ricordo ancora un memorabile convegno tenuto a Recife nel 2000 in onore di Celso Furtado sull’esperienza della Sudene, l’agenzia per lo sviluppo del Nordest da lui creata (svolsi una relazione sul tema La teoria dello sviluppo e il caso italiano). Ricordo anche due viaggi con altri colleghi in Argentina e Brasile organizzati dal Consiglio Italiano per le Scienze Sociali, con lo scopo di far conoscere e discutere lo stato delle scienze sociali in Italia e le condizioni del Paese. Frequenti sono poi stati i rapporti in Spagna con i sociologi del lavoro della Complutense di Madrid, in particolare con Juan José Castillo, fondatore di Sociologia del trabajo, rivista alla quale da allora collaboro.

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