#4/2014 – GUIDO BAGLIONI con Serafino Negrelli

È così che nasce e si sviluppa il suo interesse per la sociologia?

In realtà allora sapevo poco o niente di questa disciplina. Avevo chiaro comunque che essa consisteva in fenomeni sociali da analizzare con rigore e non semplicemente sulla base del fiuto e delle impressioni. Perciò con metodo, strumenti tecnici, verifiche specie per le ricerche empiriche. Poi ero attratto dal problema della sociologia valutativa e dal contributo delle scienze sociali per il miglioramento delle strutture e delle relazioni sociali.

unitrento.it_70_72Ho parlato con altri sociologi affermati – come Achille Ardigò e Angelo Pagani. Ma il colloquio decisivo, ottobre 1959, è avvenuto con Francesco Alberoni, il quale su richiesta del rettore Francesco Vito, stava creando l’Istituto di Sociologia alla Università Cattolica. Ho cominciato subito a studiare con regolarità e impegno, scrivendo articoli e libri, partecipando intensamente alla vita dell’Università ed al funzionamento dell’Istituto. Ottenni la libera docenza nel 1963 e vinsi il concorso per cattedra nel 1970. Carriera rapida, ma mobile: sono stato ordinario a Trento, Parma, Brescia, Milano – scienze politiche, Milano Bicocca.

Mi descriva la comunità dei sociologi italiani negli anni ‘50 e ’60…

Vi erano molti giovani sociologi e un nel gruppo di sociologi affermati: in testa c’era Franco Ferrarotti, poi Giovanni Sartori, Angelo Pagani, Alessandro Pizzorno, Luciano Cavalli, Filippo Barbano, Sabino Acquaviva ed altri. Io ero un giovane all’interno della “corporazione”, ma non per età. Mi sono proposto di attenuare la distanza dai colleghi sopra richiamati: non è andata male!

I sociologi avevano il problema di essere riconosciuti sul piano accademico e della reputazione scientifica. Ciò è stato un elemento di fervore e coesione, in seguito intaccato da divisioni discutibili, come quello principale che seguirà fra cattolici e laici. Sul punto ho sempre dissentito. Allora si trattava di una sociologia poco politicizzata e, in ogni modo, su posizioni “moderate-riformiste”. Non è irrilevante che fra i primi quindici professori ordinari non ci fosse un comunista. Quando Aris Accornero, e siamo già nel 1978, vincerà la cattedra, Gerardo Chiaromonte che pure era un liberal disse: “Sono contento che tu abbia ricevuto questo riconoscimento e sia diventato professore universitario, ma mi spiace che questo sia avvenuto in sociologia!”.

Infine, un’altra caratteristica della sociologia italiana degli anni ’60 è data dal grosso peso della ricerca empirica. alberoni Fra gli Istituti di Sociologia aveva rilievo particolare quello della Cattolica, guidato dall’intelligenza e dall’acume di Francesco Alberoni e con “assistenti” come Marino Livolsi, Antonio Tosi, Roberto Moscati, Franco Rositi, Vincenzo Cesareo, Gian Enrico Rusconi, Alberto Melucci, ed altri. Al suo interno si andava formando un gruppo che si occupava con me di sociologia industriale e del lavoro: Bruno Manghi, Gian Primo Cella, Guido Romagnoli, Giancarlo Provasi, Gianni Gasparini e Marco Carcano, ma vicino a noi era anche Franco Ferraresi, specialista di pubblica amministrazione. fotobaglioni_cella_

Comincia così il suo impegno di studioso dell’esperienza sindacale, quando le vicende sindacali in Italia erano ancora “una storia minore”…

Ho già detto delle motivazioni personali che mi spinsero ad avvicinarmi al sindacato. Successivamente affrontai il tema da studioso, come sociologo. Vito e Alberoni mi raccomandavano di farmi una mentalità analitica, una attrezzatura metodologica e conoscere i “classici”. Il mio primo libro da sociologo mette insieme sensibilità e metodo, come rivela il titolo: “Il consenso ed il conflitto di ruolo nell’organizzatore sindacale”[5]; successivamente mi occupo del lavoro attraverso la sua mobilità geografica e pubblico con Alberoni “L’integrazione dell’immigrato nella società industriale”[6] (entrambi i libri partono con una ricerca empirica).

I miei primi approfondimenti della vicenda sindacale sono raccolti nel “Il conflitto industriale e l’azione del sindacato”[7], nella quale emerge la mia impostazione di considerare tale vicenda per le sue intrinseche caratteristiche, preferibilmente senza fondamenti di ordine ideologico. La considerazione dell’esperienza sindacale come un insieme di diversità pratiche e teoriche emerge nella ricostruzione fatta con Manghi del panorama europeo e nord-americano delle teorie, inedito in Italia e altrove, nella ricerca “Il problema del lavoro operaio. Gian Primo Cella, Guido Baglioni, Giovanni Gasparini e Bruno Manghi, Universtità Cattolica di Milano, marzo 2008Teoria del conflitto industriale e dell’esperienza sindacale”[8].  Sempre con Manghi e Gian Primo Cella ritorno alla ricerca empirica quando con notevole passione affrontiamo lo studio di una grande impresa nel Mezzogiorno, ossia l’Italsider di Taranto[9].

Successivamente è passato a studiare gli imprenditori: come mai ciò avviene proprio negli anni del grande ciclo di lotte tra il ’68 ed il ’73?

Semplificando, posso dire che anche se stavo chiaramente da una parte non potevo ignorare la controparte, cosa che hanno invece spesso fatto molti dei miei colleghi. Ho cercato di individuare le diversità del mondo imprenditoriale, che si sono espresse in tre modi fondamentali di considerare i loro dipendenti: ossia come servi, come liberi cittadini sul mercato del lavoro, come cointeressati al buon funzionamento dell’impresa[10]. Un altro motivo sta nel mio discreto “spirito di contraddizione”: tra la fine degli anni ’60 e durante gli anni ’70, ci troviamo nel pieno della mobilitazione sociale, studentesca e sindacale, del susseguirsi di conflitti, lotte, esagerazioni, progetti infondati… io volevo cambiare un po’ aria, spostando il fuoco della mia ricerca sia in termini di contenuti, che di periodo storico. i-relatori-del-convegno

In effetti, vivevo nel pieno le vicende sindacali con la CISL e, soprattutto, con la CISL di Milano. Con me operava un gruppo di studiosi, anche giuristi (tra i quali Tiziano Treu e Mario Napoli, prematuramente scomparso), che aveva come manifestazione più visibile la rivista “Prospettiva sindacale”. Per la CISL, fra il ’74 e il ’79, ho diretto il Centro Studi Nazionale di Firenze e, negli anni ’80 e ’90, il CESOS (Centro di Studi sociali e sindacali) di Roma. Tra le altre attività promosse vi è l’attenzione dedicata alle analisi comparative delle relazioni industriali in Europa e allo studio della contrattazione decentrata in Italia, che diede luogo a diverse pubblicazioni[11]. In particolare, a seguito di brevi soggiorni di studio in Regno Unito e Stati Uniti scrivo sulle relazioni industriali in questi paesi[12].

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