#2/2014 – GIAN PRIMO CELLA con Roberto Pedersini

 E poi c’è il libro sui confini…

 Il libro sui confini segnala innanzitutto un ingresso nella teoria sociale, con attrazione e sensibilità verso la dimensione storica, un percorso già iniziato con la riflessione su Polanyi. Non saprei dire bene perché mi sonconfinio occupato di questo tema, l’ho scritto anche nell’introduzione al libro: mi sono ricordato cosa voleva dire passare il confine fra Berlino ovest e Berlino est; ad un certo punto, mi è venuta l’ispirazione: la distinzione, il fascino della parola, le esperienze di vita, poi tutto è cominciato…

Ci sono state alcune letture-ponte fra il periodo in cui mi sono occupato di Polanyi e quello successivo nel quale mi sono dedicato ai confini, come Bourdieu e il linguista francese Benveniste, per esempio. Sicuramente il teorico sociale che più mi ha influenzato è stato Pierre Bourdieu, di cui già nel 1964 avevo letto Travail et travailleurs en Algerie, la prima grande ricerca che ha fatto (assieme ad altri), utilizzandolo per la tesi di laurea e poi per quell’articolo sull’Algeria. Però quel libro mi aveva lasciato perplesso perché, uscito nel 1963, non parla mai della guerra (ci sono forse due riferimenti in seicento pagine), mentre l’Algeria in quegli anni c’era la guerra, non un po’ di conflitto: l’esercito, i carri armati, la repressione, gli attentati ad Algeri. Per decenni non l’ho più ripreso; poi, invece, a partire dagli anni Ottanta l’ho riconsiderato… non so perché ci sono arrivato, ma ne ho ricavato una illuminazione. Alcuni apporti teorici sono stati decisivi per la mia riflessione. Già nello studio su Polanyi avevo considerato alcune argomentazioni di Bourdieu, che poi sono state molto utili e per alcuni aspetti decisive per il lavoro sui confini (tenga conto che il sottotitolo del mio libro è Realtà e metafore della distinzione e quel “distinzione” è Bourdieu).Bourdieu et al

 Mi sembra che, come in questa esperienza del confine, in genere il tuo percorso di ricerca sia sempre partito da aspetti materiali, concreti…

 Questo lo spiega bene Pizzorno, quando dice che, in fondo, chi fa lo scienziato sociale parte da una sorpresa, soprattutto se ha qualche ambizione teorica. Poi, se hai la legittimazione per occupartene, raccogli la sorpresa e tenti di fornire una spiegazione. Ci si muove così. Se devo ripensarci, è stato così per me. Per Polanyi, la sorpresa era: non c’è solo il mercato e la contrapposizione fra mercato e politica non esaurisce tutte le possibilità; c’è molto altro… e ho cercato di dare una spiegazione. Sui confini, la sorpresa deriva dal fatto che tutti dicono che i confini non ci sono più, c’è la globalizzazione, la liquidità, però tutti poi parlano di confini: come mai? Come mai tutti dicono che spariscono e poi continuamente si parla di confini, anche in modo metaforico? Una volta ho passato un paio ore alla Feltrinelli in Piazza Duomo cercando i libri che portavano il termine “confini” nel loro titolo: magari non c’entrava niente con il libro, però lo usavano nel titolo… anche lì c’era una sorpresa e ho tentato di stabilire perché.

Anche quello che sto tentando di fare ora deriva da una sorpresa. È la sorpresa che collega l’individualismo e i soggetti o gli attori collettivi. Tutti parlano di individuo, individualismo, individualizzazione, anche nella versione di Paci[7], e poi la maggior parte delle scelte, dei destini degli esseri umani continua a passare attraverso i soggetti collettivi o i corporate actors, come direbbe Coleman. La sorpresa nasce dalla percezione di una realtà sociale, o di un evento, o di una trasformazione che contrasta con le interpretazioni o con le argomentazioni più diffuse, e ti chiedi: come mai?

Questi tre impegni sul versante della Sociologia economica e della teoria sociale, su Polanyi, confini e soggetti collettivi, nascono da stimoli di questo tipo. Poi però nella vita contano anche le occasioni. Ci sono spesso occasioni in cui ti chiamano a dire qualcosa su un tema che non è stato centrale nella tua riflessione, anche se ovviamente rientra nel tuo campo di ricerca ed è per questo che ti chiedono un contributo. Per esempio, questo impegno sui soggetti collettivi è iniziato da un invito che ebbi da Rositi per partecipare al convegno della sezione di metodologia dell’AIS a Udine nel 2002. Mi chiese se avevo voglia di fare qualcosa su soggetti collettivi e rappresentanza. Risposi di sì, dissi che era interessante, la rappresentanza attraverso i soggetti collettivi. Scrissi un saggio [8] da quel momento la mia riflessione è andata avanti. Le occasioni contano… Lo stesso vale per il mio interesse per la cultura sindacale: è nato un po’ dagli inviti di alcuni storici legati alla fondazione Di Vittorio, che mi chiesero un contributo su questo argomento. Penso che le nostre vite, perlomeno la mia, non fosse rigidamente programmata, è stata legata anche un po’ alle occasioni. Se ci ripenso, si trovano gli elementi di continuità, si ritrova un filo conduttore; però attorno a questo filo, le occasioni contano.

[L’intervista appare qui in una versione ridotta e in piccola parte riadattata dalla redazione ELOweb a partire dalla versione originale, pubblicata nel volume curato da Lorenzo Bordogna, Roberto Pedersini e Giancarlo Provasi, Lavoro, Mercato, Istituzioni. Scritti in onore di Gian Primo Cella (FrancoAngeli, Milano, 2013). Nell’immagine sotto, la copertina del volume. Le didascalie delle altre immagini che accompagnano l’intervista si trovano alla pagina seguente].

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