#2/2014 – GIAN PRIMO CELLA con Roberto Pedersini

Nel ripercorrere con Roberto Pedersini il proprio percorso di sociologo di professione, Gian Primo Cella rivela come a guidarlo siano state dinamiche di tipo diverso: da un lato quelle più intenzionali, indirizzate da criteri di scelta personale (etica, estetica, vocazionale) o dalla ricerca di risposte alle domande che “sorprendono” lo scienziato sociale, imponendosi alla sua attenzione; dall’altro lato quelle più fortuite, legate al sapersi aprire e lasciar guidare da “occasioni” (offerte da maestri e colleghi ma anche da luoghi o letture) rivelatrici di nuove ed inaspettate affinità elettive. Così le ricerche sul sindacato, sul lavoro e, in particolar modo, sulle relazioni industriali trovano negli anni Ottanta una nuova collocazione nel quadro più ampio degli studi sulla regolazione degli approcci di political economy comparata, mentre nei decenni successivi lo sviluppo di riflessioni di teoria sociale ritorna all’attrazione verso la dimensione storica, già manifestatasi negli anni universitari.

[le foto si possono ingrandire cliccandovi sopra; le note possono essere visualizzate o nel testo, puntando il cursore sul numero della nota, o nell’ultima pagina dell’intervista; per scaricare la versione pdf dell’intervista clicca qui ].

Come hai scelto – se lo hai scelto – di diventare sociologo?

Ero destinato da mio padre a fare la Facoltà di Economia e Commercio, voleva che facessi la Bocconi. A me invece non piaceva, anzitutto esteticamente: quegli edifici non mi sembravano attraenti… e poi mi appariva un po’ padronale o comunque troppo concentrata sulle materie economiche e aziendaliste. Allora gli ho risposto che preferivo la Cattolica: mi piacevano di più l’edificio e i chiostri, poi c’erano anche altre Facoltà e c’era il corso serale. Dissi a mio padre che, se eventualmente ce ne fosse stato bisogno, avrei potuto fare il serale di economia (cosa che poi non è accaduta) e così mi iscrissi ad Economia alla Cattolica.


cattolica

Non ho frequentato moltissimi corsi, perché non mi interessavano tutti. Al terzo anno, iniziò l’insegnamento di Storia economica con un grande professore come Mario Romani [1]. Mi appassionai moltissimo: mi piacevano la materia, l’insegnamento e anche il professore, che poi ebbi modo di conoscere personalmente. Nel frattempo dovevo scegliere i complementari e scelsi Sociologia: andai ad una lezione di Alberoni e non mi piacque; la Sociologia non mi piaceva… E allora continuai a frequentare molto intensamente il corso di storia economica e feci letture sul Risorgimento e sui primi due decenni del ventesimo secolo; mi interessava il movimento sindacale. Alla fine del corso, andai dal professor Romani a chiedere la tesi. Mi ero preparato: volevo fare la tesi sulla Camera del Lavoro di Milano nel periodo della leadership dei sindacalisti rivoluzionari, cioè grosso modo negli anni antecedenti la prima guerra mondiale. Gli proposi il tema e Romani mi disse: “Un grande tema, bellissimo! Veramente un tema bellissimo: bravo Cella!” (anzi: “Comandante Cella”, perché chiamava comandante tutte le persone che gli andavano un po’ a genio) “Bene: però io gliene propongo un altro. Le propongo un tema su cui stiamo lavorando in Istituto: l’Opera dei Congressi”. Mi diede da leggere un paio di libri (io non sapevo nemmeno cosa fosse l’Opera dei Congressi): dopo due settimane di letture, capii che non volevo assolutamente farlo. Tornai dal professor Romani e trovai una giustificazione per dirgli che non mi interessava. Se fosse stato il tema che avevo proposto, poteva andare bene, ma questo no. E allora Romani mi rispose: “Caro Cella, secondo me, lei non vuole fare lo storico, ma vuole fare il sociologo…” (cominciò tutto di lì) “… vada dal Comandante Baglioni!”.

sindacati africaniCosì andai dal Comandante Baglioni che era, insieme ad Alberoni, sommerso di richieste di tesi. Non sapevano più che tesi dare, ma mi propose un argomento: era uscito I sindacati africani scritto da Jean Meynaud, politologo francese che insegnava a Losanna, insieme ad uno studioso algerino, Anisse Salah-Bey. Guido Baglioni mi chiese: “Vorrebbe fare una tesi sul sindacato, l’indipendenza e la rivoluzione in Algeria?”. Mi appassionai al tema e preparai la tesi. Volevo andare in Algeria: scrissi ai sindacati e al Front de Libération National (FLN); non Gian Primo Cella, Guido Baglioni, Giovanni Gasparini e Bruno Manghi, Universtità Cattolica di Milano, marzo 2008mi risposero mai, ma mi inondarono la casa di tutti i giornali algerini, in francese e in arabo… per cui era come se avessi un archivio in casa! Mi dedicai alla ricerca: andai in alcuni archivi a Parigi nel 1964 e visitai istituti di studio sul mondo islamico e sull’Algeria. Mentre stavo finendo, Baglioni aveva capito che forse avevo qualche attitudine per il lavoro sociologico e mi chiese se ero disposto a continuare a stare in Istituto dopo la laurea. Il tema della mia tesi piacque molto anche ad Alberoni, perché c’erano gli aspetti legati alla cultura islamica e sui movimenti collettivi, che preferiva rispetto alle relazioni industriali. Accettai la proposta di Baglioni e rimasi all’Istituto di Sociologia della Cattolica, con Alberoni direttore; Baglioni era il numero due, ma si occupava di fatto della gestione dell’Istituto; poi c’erano gli assistenti. Io mi legai soprattutto a Baglioni e a Bruno Manghi, che aveva un anno più di me. Facemmo quasi un sotto-istituto di sociologia del lavoro. E così iniziò tutto…

Posted in Interviste, precedenti.