#1/2014 – FRANCESCO PAOLO CERASE con Clementina Casula

Come ricordi l’inserimento nell’accademia italiana?

A ripensarlo oggi, fu quasi uno shock: dai rapporti diretti, immediati, da pari a pari, che avevo avuto e continuavo ad avere per corrispondenza con questo o quel sociologo di una qualsiasi università americana, mi ritrovai a sperimentare la vacua altezzosità dei rapporti accademici alquanto diffusa in Italia, dove se scrivevi ad un qualche “professore” le possibilità che ti rispondesse erano pressoché zero. E quindi, anche solo per scrivergli dovevi cercare o comunque avere una persona che potesse in qualche modo introdurti; quando poi quello ti rispondeva, sembrava già di per sé una grazia. Ma la sorpresa più brutta fu scoprire che nella comunità sociologica italiana che si andava costituendo allora (stiamo parlando degli anni intorno al 1965) Gini (e conseguentemente Castellano) non solo non sembravano essere conosciuti da nessuno, o piuttosto nessuno voleva ammettere di conoscerli; ma anche chi non poteva negare di conoscerli, non mancava occasione di rifiutargli un qualche riconoscimento di sociologi. Cercai di capire le ragioni di tanto ostracismo o avversione, a partire da quelle che portarono alla vera cesura che c’è stata in Italia – forse unico paese in Europa – nell’evoluzione degli studi sociologici, tra la tradizione sviluppatasi fino alla prima guerra mondiale (e quanto ne seguì con il fascismo) e la Sociologia sviluppatasi dal secondo dopoguerra con la forte influenza della sociologia “americana” (se non ricordo male, la questione è affrontata in alcuni contributi nei primi anni dei Quaderni di Sociologia)[11]. Andai anche a rivedermi le annate della Rivista Italiana di Sociologia[12]. Ricordo che trovai piuttosto ingiusto il modo in cui veniva liquidata in uno dei contributi cui ti ho fatto cenno, anche alla luce del fatto che la Rivista aveva ospitato contributi dei maggiori sociologi europei nei decenni a cavallo del secolo decimo-nono. Cosa spiegava, dunque, l’avversione, direi anche misconoscimento al quale ho accennato? E quale collegamento c’era con l’esaurimento – che ritenevo immeritato – della tradizione italiana di “ricerca sociale”?

Sei riuscito a trovare una risposta a queste domande?

Con Franco Ferrarotti in occasione dell’inaugurazione della Facoltà di Sociologia dell’Università di Napoli nel 1995

Solo in parte. L’argomentazione che più spesso sentivo fare era che si trattava, al meglio, di “sociografi”. Ricordo come ancora nel 1995 Franco Ferrarotti, da me invitato per l’inaugurazione della Facoltà di Sociologia a Napoli, ribadì la necessità per la Sociologia italiana di liberarsi dei limiti del “descrittivismo sociografico”[13] (presumo a mio beneficio, in quanto Preside della neonata Facoltà, laddove io sapevo bene come Castellano avesse insistito con forza sul fatto che la descrizione di ciò che si intende studiare rappresenta solo il primo passo di un rigoroso procedimento di analisi scientifica). A distanza di tanti anni penso che – al di là di una diverso modo di intendere e praticare la ricerca sociologica – almeno una parte di risposta per una certa avversione possa essere plausibilmente cercata anche in chiave di geometrie di influenza accademica e di lotta per il controllo di risorse. Accademicamente Castellano era uno statistico, ma il punto era che non solo aveva fatta sua l’eredità sociologica di Gini, ma l’aveva rafforzata notevolmente andando ad occupare alcune posizioni chiave per il controllo delle risorse di ricerca nel campo sociologico. Presumo facendosi anche ragione della sua impostazione, era riuscito a inserire nel comitato del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) per le ricerche statistiche, economiche e demografiche anche le ricerche in campo sociologico. Di fatto, come membro del comitato in quanto statistico, riuscì per non pochi anni ad influire fortemente anche sul controllo dei finanziamenti per la ricerca sociologica (fino a quando poi non fu eletto un sociologo). A questo aggiungi che Castellano era il Direttore dell’Istituto di Statistica e di lì a qualche anno sarebbe diventato e rimasto fino alla fine anche Preside della Facoltà. Per farti un esempio di cosa tutto ciò potesse implicare, ti dirò che in un solo anno Castellano riuscì ad avere sei borse di studio CNR in sociologia e, tra la fine degli anni Sessanta ed i primi anni Settanta, altri cinque posti di assistente ordinario di sociologia in Facoltà, dove l’espansione della Sociologia non era affatto ben vista tra i docenti, né granché richiesta dagli studenti… Verso la fine degli anni Sessanta (nel 1967, se non ricordo male) si presentò l’unica concreta opportunità che Castellano ebbe di “agganciare” la comunità sociologica italiana quando vi furono dei contatti con il Comitato per le Scienze Politiche e Sociali (Co.S.Po.S), nella persona di Spreafico[14], per istituire una Scuola di Specializzazione in Sociologia. Castellano aveva già istituito da tempo un Centro Ricerche di Sociologia Empirica presso l’Istituto di Statistica che, quando il progetto con il Co.S.Po.S. naufragò (non saprei dirti esattamente per quale ragione, anche perché allora mi trovavo di nuovo negli Stati Uniti per terminare il programma di dottorato), confluì in una neo-nata Scuola di Perfezionamento in Sociologia e Ricerca Sociale, dove ho lavorato per diversi anni (un impegno molto assorbente, sia dal punto di vista didattico che organizzativo). Ritengo che la Scuola abbia rappresentato una presenza significativa nel panorama sociologico romano, almeno nella sua prima fase di esistenza, non solo per i docenti che vi insegnavano, ma anche per gli allievi vi si iscrissero, non pochi dei quali hanno poi fatto una brillante carriera, accademica o professionale.

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